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il Giro dell’ OCA – ERRI DE LUCA

21 Marzo 2019

Libertà è stata avere un dado in pugno con la scelta di lanciarlo o no, come davanti a una parete, da scalare o no”.

Una sera, mentre rilegge Pinocchio, un uomo sente la presenza del figlio che non ha avuto. Il figlio che la madre – la donna con cui in gioventù lo concepì – decise di abortire. A quel figlio che gli appare, già adulto, “a fare la sua paternità”, per tutta la notte Erri De Luca racconta “un poco di vita scivolata”. All’inizio un monologo, poi un dialogo che ripercorre la vita, gli affetti, le storie, i libri scritti e letti, le parole. Una occasione di ricerca interiore. “Questa notte non potrà essere tolta dal registro delle notti, fare che non sia accaduta. È senza rimedio, come ogni azione commessa. Questa notte è irreparabile”.

La scorsa settimana ho deciso che mi sarei presa più tempo per leggere l’ultimo libro di Erri De Luca “Il Giro dell’Oca”. Nonostante la brevità dei suoi racconti, questo autore ha la misteriosa capacità di rendere un libro talmente intenso, da sembrare più corposo di ciò che è. Anche il “Giro dell’Oca” ha questa caratteristica, perciò và letto con calma. Io, a dire il vero, l’ho anche riletto e questo perché, a differenza di molti altri suoi libri, che ho adorato (in questo blog trovate anche la recensione de “I pesci non chiudono gli occhi”), non mi ha convinto totalmente, sicché cercavo di capire meglio dove e in cosa non mi fossi trovata in sintonia con la lettura. Mi duole dirlo perché è uno dei miei autori contemporanei preferiti, ma per carattere, non riesco a non essere obiettiva. Più che un giudizio negativo, potremmo definirlo semi-positivo, e vi spiego perché.

Il libro racconta l’incontro immaginario di De Luca con il figlio che non ha mai avuto. La mente corre subito all’egregio esempio dello stesso genere opera della Fallaci (Lettera ad un figlio mai nato), che, nonostante la somiglianza con la tematica, non può esservi accostato in alcun modo. Il figlio perso di De Luca diventa quasi un alter ego attraverso il quale ricordare eventi e lasciarsi andare a valutazioni sul suo passato. Forse proprio questo artificio è il responsabile della mancata piena riuscita del racconto, a mio parere. La narrazione si spezza, le intromissioni del figlio sono slegate al suo interno,  c’è frammentazione, e questo non accade nei numerosi racconti precedenti. 

Gli argomenti affrontati sono i più classici nell’ambito delle tante avventure o “vite” vissute dall’autore, che si lascia andare, in alcuni tratti, ad un vero e proprio amarcord. È proprio in questi passi però, che spesso ritroviamo memorie, avvenimenti, fatti e considerazioni personali già ripresi in altri suoi libri e è quello che dispiace perché si ha una sensazione spiacevole di ripetizione o, come spesso si dice in questi casi, sembra che l’autore parli su sé stesso. A voler esser clementi si potrebbe dire che vi si incontrano nuovamente, e rivisitati, i temi ricorrenti della sua narrazione biografica. 

In tutto ciò, tuttavia, permane la grande, innegabile capacità poetica di Erri De Luca che, in modo quasi esemplare, sa trasformare il concetto più banale dell’esperienza di vivere nella più alta espressione lirica che si possa trasmettere, ottenendo sempre l’effetto che lo contraddistingue, di lasciare senza parole chi legge, facendolo vagare con la mente e il cuore verso la direzione del sentimento. Per questo, la scrittura è sempre ottima. Evocativa, ispirata, essenziale, ma mai disadorna: “sei uno straniero, figlio, quanto la luna nel cielo la mattina, che resta ancora dopo il tramonto della notte”. Magnifica.

Erri De Luca ha una precisione narrativa senza eccezioni. Unica. La parola, il verbo che usa possono essere solo quelli per descrivere una scena o un emozione che, all’istante, si materializza davanti agli occhi, perfetta nei contorni, come in questo tratto eccezionale: “Il mio naso si incanta, resta imbambolato dal salmastro di acqua guasta di un porto, il miscuglio di nafte, corde, vele, pesci, ferri arrugginiti”. E la stessa atmosfera si materializza intorno a te. Sono sue compagne, le parole. Come ammette lui stesso “Ho avuto le parole. Senza di loro sbatto contro i muri”. L’italiano, la sua residenza, “abito in via della lingua italiana, senza numero”.

Se lasciamo prevalere l’indiscussa capacità stilistica, a dispetto di un contenuto non completamente inedito rispetto alle sue scorse opere, il bilancio sarà comunque positivo.

Non si può palesare troppo dei discorsi che affronta con il figlio, si tratta in generale della vita di De Luca, dei suoi pentimenti, i sentimenti per le persone a lui care. Le sue passioni, i dolori, le mancanze affettive, la montagna, la vita da operaio e di anarchico con le rinunce che ha comportato, le scelte in nome di qualcosa che non era privato, per sé stesso e poi il cambiamento di prospettive. 

In conclusione, è un libro da leggere, anche se forse, a chi conosce l’autore, non sembrerà di leggerlo in una delle sue migliori prove di scrittore. 

Mi perdonerebbe Erri De Luca se leggesse questa recensione (in fondo me lo auguro), perché lui sa che “ogni libro si presta alla variante di chi lo sta leggendo”, che poi è lo stesso motivo per cui vi invito a leggerlo comunque, poiché questa è la mia esperienza, ma tra autore e lettore è sempre un “rapporto uno a uno”.

titolo: IL GIRO DELL’OCA, autore: ERRI DE LUCA, editore: FELTRINELLI, collana: I NARRATORI, anno: 2018, pagg. 122, prezzo: 11,05 €, acquistabile sul sito Feltrinelli <—- link in affiliazione

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