LIBRI RECENSIONI

BARTLEBY LO SCRIVANO. Una storia di Wall Street di HERMAN MELVILLE. Esistenzialismo e incomunicabilità.

24 Agosto 2019

Un racconto particolare, un titolo che richiama un personaggio, che però non è anche il protagonista del libro, ma finisce col diventarlo nella sostanza, tant’è che la voce narrante di “Bartleby lo scrivano. Una storia di Wall Street”, è un avvocato, uno qualunque, del quale non è importante neppure menzionare il nome. In cerca di uno scrivano da aggiungere a quelli già impiegati nel suo studio e soprannominati, fedelmente al loro aspetto fisico o caratteriale, Turkey, Nippers, Ginger Nut, grazie a un annuncio incontrerà Bartleby, singolare uomo dal passato e dal presente sconosciuto, che sarà assunto nello studio legale per la copia degli atti e per affiancare gli scrivani già presenti. Ne nascerà il racconto di un breve incontro tra uomini uniti solo dall’occasione e che non entreranno mai, davvero, in contatto tra loro. Lo scrivano, senza un motivo apparente o dichiarato, comincerà poi a rifiutarsi di lavorare e questa azione silenziosa, ma decisa determinerà una serie di conseguenze interiori nel personaggio narrante, ma anche il finale di una storia, che a distanza di più di un secolo, rimane ancora tutta da interpretare.

Bartleby lo scrivano è uno dei sedici racconti scritti da Herman Melville tra il 1853 e il 1856, pubblicati dalle riviste “Harper’s New Monthly Magazine” e “Putnam’s Monthly Magazine”. Fu scritto, in ordine di tempo, dopo Moby Dick (1851), il romanzo diventato famosissimo solo dopo la morte dell’autore, e col quale siamo ormai soliti identificarlo. “Bartleby Lo scrivano. Una storia di Wall Street” (è questo il titolo completo) fu pubblicato per l’esattezza nel 1853 e in esso Melville diede forma a un personaggio del quale, in modo singolare, avrebbe poi ripercorso la parabola esistenziale. Su questo punto non voglio dire di più, perché anticiperebbe il punto nodale della storia e finirei col rovinare la lettura a chi ancora non l’ha iniziata e vuole farlo. 

Complesso come, e forse ancor più, di Achab, Bartleby è un personaggio enigmatico e per questo più profondo di quanto non possa risultare ad una prima assimilazione. Ho trovato una personale chiave di interpretazione di questo signore apatico che va ad impiegarsi come scrivano nello studio di un avvocato di Wall Street, e che, col tempo, si rifiuterà di assolvere alle mansioni per le quali era stato assunto sulla pacifica, quanto perentoria frase ripetuta come come un rituale non trattabile “preferirei di no” dall’originale letterale “I would prefere not to”. 

Se questa è infatti la frase divenuta il manifesto della resistenza passiva che ha dato la stura alle più diverse opinioni esegetiche sotto il profilo della lotta sociale, senza nulla voler togliere a queste numerose interpretazioni, io mi sono lasciata pervadere più dalla sensazione complessiva che promanava leggendo il libro. Considerato dai critici il precursore dei personaggi esistenzialisti della letteratura internazionale, nella mia opinione concordante, è possibile tuttavia aggiungere altro a questa conclusione. Determinazione a cui sono giunta dopo la lettura del libro. 

Considerata nell’insieme la storia, soprattutto tenendo conto del finale del racconto, ritengo che si tratti più di una storia e una morale che parlano di comunicazione, o meglio, di incomunicabilità.

La sensazione che mi ha lasciato quest’opera è stata proprio quella della difficoltà, che sfocia nell’impossibilità, di comunicare tra le persone.

Il particolare dell’ambiente nel quale Bartleby decide di collocarsi per lavorare all’interno dello studio dell’avvocato, costretto tra un paravento che lo isola dal resto della stanza e una finestra che dà su un muro di fronte dall’altro lato della strada, che poi si ripeterà nell’epilogo della storia, dove Bartleby si troverà ancora chiuso dinanzi ad un alto muro come orizzonte; mancano dialoghi nei quali lo scrivano è reso parte; la volontà di Melville di non spiegare né il passato, né i desiderata di Bartleby, mi hanno trasmesso forte la sensazione di un vuoto esistenziale, senza dubbio, ma anche di un rifiuto e di una difficoltà di comunicare, seppur nell’estremo momento del bisogno. Persino la precisazione nel titolo, la storia che si svolge a Wall Street, operando non tanto un richiamo alla problematica legata all’affarismo della strada, bensì forse un richiamo nono solo terminologico al muro e ai muri che possono isolare le nostre vite.. 

Mi ha molto colpito anche l’unica sottolineatura di Melville sul lavoro svolto da Bartleby prima di essere assunto nello studio legale. L’uomo, dipendente delle poste, era addetto alle “lettere smarrite”(letterale originale lettore morte -dead letters):

Si diceva” scrive Melville “che Bartleby fosse stato un impiegato subalterno dell’Ufficio lettere smarrite di Washington da cui sarebbe stato licenziato improvvisamente per un cambio nell’amministrazione”. 

La lettera che non giunge a destinazione. Esiste metafora più forte per l’incomunicabilità?  Di una comunicazione troncata, che rimane sospesa. Mentre c’è chi invia parole, sentimenti ed eventi a qualcuno, questo qualcuno non li riceverà mai; e, se non ignaro, questi sarà destinato a un’attesa infinita e senza sbocco. 

Proprio queste due dimensioni, l’attesa e la vaghezza del finale, sono le altre dimensioni che mi hanno colpito.

L’una è suggerita dall’atteggiamento di Bartleby, lento, pacato, ma al tempo stesso risoluto. Calibra ogni sua azione in modo che essa sia al contempo misteriosa, ma ben definita; su tutto ciò che fa è come se da qualche parte dovesse giungergli una comunicazione di qualcuno e lui fosse lì ad attenderla, senza però riceverla mai. Ma lui è sicuro che ci sia. L’altra, la vaghezza del finale, quella sensazione che non ci sia sbocco, che sembra caratterizzi la storia, si acuisce proprio nell’epilogo con una conclusione che lascia sospesi. Una sospensione che permea tutto il racconto, inducendo chi legge ad aspettare un evento culminante che non arriverà mai. 

In questo si manifesta una volta di più la grande abilità narrativa di Melville, capace non solo di creare suspence, ma soprattutto di tenerla costante per l’intera durata del racconto. Di coinvolgere il lettore e tenere alta la sua soglia di attenzione senza fargli perdere mai il filo conduttore.

Bartleby lo scrivano è perciò un libro con un personaggio enigmatico, un epilogo sospeso, una storia che apparentemente non ha una ben definita partitura degli eventi, ma che non può essere senza una morale, altrimenti non sarebbe un’opera di Herman Melville. e qui entriamo tutti noi in gioco. Bartleby è l’emblema di cosa o di chi? Di una categoria di uomini o dell’umanità intera? Resta aperto il dilemma. Melville esclama ” ah, Bartleby! Ah umanità!“. Ciò che ha un significato in uno scrittore altissimo che ha sempre cercato la morale e il significato dell’esistenza.

Certo è che in un clima di sostanziale apatia, frigidità di azioni e ristagno di sentimenti, fa capolino solo una timida emozione di empatia da parte del borghese avvocato datore di lavoro che si rende conto della particolarità dell’esistenza di Bartleby e ancor più della sua straordinaria solitudine, ma ciò nonostante questa fugace apparizione di interiorità nel personaggio non prende il sopravvento sull’utilità di scopi e comportamenti suoi e altrui. Solo per un breve momento le due strade sembrano davvero incontrarsi e sovrapporsi, ma il momento è talmente labile che ne sfugge la realtà. Rimane il dubbio che sia una mera posa ipocrita e conformista, senza un vero sentimento che veicoli solidarietà. 

Ancora una volta, qualcosa si frappone nella comunicazione tra i due uomini, ne interrompe il flusso e acuisce la mia sensazione che ancor più del precorrere un manifesto di resistenza sociale, avendo risvolti politici, questo racconto di Herman Melville, richiami la nostra attenzione in modo chiaro sulla incapacità di entrare in vera connessione e rapporto con gli altri. Abbia quindi un sostrato più intimista che guardi all’interno e non all’esterno dell’uomo.

Melville stesso ci mette in guardia dal tentare di approfondire troppo i rapporti con l’anima altrui, per non perdere la propria:

per un essere sensibile, la pietà è non di rado dolore. E quando alla fine si comprende che tale pietà non riesce a condurre un aiuto efficace, il buon senso consiglia all’anima di liberarsene”.

Se invece si pensa allo stile e alla struttura della narrazione, credo che tutto rimandi senza dubbio a un’anticipazione di esistenzialismo che poi avremmo letto nella sua compiutezza kafkiana e camusiana. Mi riferisco a quella sensazione di angoscia e asfissia che deriva al lettore nel leggere di un uomo senza passato e senza futuro, della sensazione di impotenza  e di stallo dell’avvocato che non riesce a ottenere da Bartleby ciò che deve e che vuole, ad affermare le proprie ragioni battendo contro un muro di gomma costruito con la mancanza di risposte da Bartleby, quella consapevolezza che il personaggio non sarà capito e per il quale nessuno prova simpatia né compassione, riporta all’angoscia come tema ricorrente della corrente esistenzialista in cui solo la situazione affettiva può far raggiungere all’uomo un’esistenza autentica, seppur ripiegandolo su sé stesso, e isolandolo dal mondo. Come succede allo scrivano.

Per questo è impossibile non rimanere avvolti dalla scrittura di Melville e dalla sua capacità di seminare nell’anima riflessioni e consapevolezze da cercare, da acquisire. Impossibile non soffermarsi, a pagine chiuse, sul tentativo di capire appieno cosa volesse dire l’autore, dove volesse portarci. Personalmente, tutto ciò che avevo letto nei giudizi di questo racconto non l’ho ritrovato tra le sue righe e sono contenta che non sia accaduto, perché quel dialogo mancante, quella comunicazione deficitaria che si è insinuata come messaggio durante la lettura, si è compiuta invece in modo personale tra me e l’autore, e mi ha portata a conclusioni per nulla scontate. E’ un libro che non può mancare nelle librerie di chi ama la lettura.

P.S. Ci sono altri racconti nella copia edita da Bompiani (in foto), e tutti meritano di essere letti con la stessa attenzione del più famoso Bartleby e lo scrivano. In particolare, ciò che regala la loro lettura è l’immensa capacità narrativa di Melville che, chiunque voglia dirsi scrittore o cimentarsi nell’esercizio della scrittura, dovrebbe prendere a paradigma e a insegnamento, soprattutto nel delineare e creare i suoi personaggi. Ne “Io e il mio camino” e in “Jimmy Rose”, l’abilità narrativa è sorprendente. Come si possa scrivere un racconto con protagonista un camino e riempire decine di pagine regalandogli la dignità di protagonista e lo spessore umano è qualcosa di unico ed è uscito dalla penna di Melville. La prova ineccepibile che per avere una storia interessante non bisogna scegliere una trama complessa, ma occorre solo saper scrivere. Questo sa fare di uno scrittore, uno scrittore unico come Melville i cui ritmi di scrittura cambiano per dare spessore ai vari momenti della storia, variando i toni, le sfumature e così animando i personaggi. Il tutto è condito da una sottile vena di humor che attraversa tutto il racconto ed emerge nei momenti cruciali, a colorirli, dando quel senso di ridicolo e di sarcasmo che invita il lettore a cogliere l’anima agrodolce delle riflessioni dell’autore. Herman Melville, uomo dalla vita complessa, e a tratti così sfortunata da impedirgli quasi di realizzare il proprio immenso talento, ci ha lasciato prove di scrittura e opere ancor più mastodontiche di una enorme, simbolica lotta per la sopravvivenza, nell’avventura chiamata vita. Esperienze trasfuse in messaggi divenuti poi universali come Moby Dick, certo, ma anche in opere meno note al grande pubblico come questo racconto, dove uno scrivano diviene paradigma dell’uomo Melville e dell’uomo lettore che è sempre, allo stesso tempo, vittima e attore della vita, sempre in bilico nel comprendere la profondità della vita e dell’anima di ciascuno che rende impossibile avvicinarci l’un, l’altro completamente.

TITOLO: Bartleby lo scrivano.Una storia di Wall Street e altri racconti; AUTORE: Herman Melville; EDITORE: Bompiani, collana i Classici; PAGG. 174; PREZZO: 8,50€ acquistabile su IBS o FELTRINELLI

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