Fare la recensione di “Una cosa divertente che non farò mai più” di David Foster Wallace dovrebbe essere vietato dalla legge.
Un simile esercizio dovrebbe essere negato come spiegare le barzellette, anticipare il finale dei film (al secolo, lo spoiler), perché è un libro dalla comicità assoluta e dall’acume straordinario che va letto e goduto senza alcun rischio di intuirne lo svolgimento.

Scritto con il periodare di ampio respiro senza timore di punteggiatura, tipico di Wallace, è uno spaccato impietoso del “capronesco” turismo di massa e delle conseguenze della globalizzazione, nella sua più peculiare e somma espressione: le crociere sulle meganavi extralusso.
Un libro con cui ridere dalla prima pagina all’ultima; che ridicolizza l’argomento di cui parla e malgrado alla fine ci lasci a fare i conti con quella realtà, tutt’altro che ilare, che descrive, durante la lettura non genera mai un senso asfittico dato dalla constatazione che in effetti ci sia ben poco da ridere nel modo di vivere del nostro tempo.
Mentre leggi, però, Wallace ti diverte e basta; e solo se si è in grado di cogliere lo spunto di riflessione che ogni tanto lui ci lancia, nemmeno troppo velatamente, la festa finisce, si esce dalla letteratura e si entra nel mondo reale, paradossale e desolante che lui racconta con la magnifica semplicità che distingue la sua scrittura.
Ecco perché dire che il libro fa ridere è riduttivo, quanto improprio; e lo è sia in senso ludico, che in quello metaforico. Se infatti da una parte fa davvero, smisuratamente, sbellicare dalle risate, dall’altra si tratta di un umorismo che sottende una visione e una denuncia sferzante del reale, che niente ha a che vedere con il divertimento.

Nessun messaggio nella letteratura wallaciana è mai leggero, malgrado lo stile; il dialogo che lo scrittore instaura con il lettore si mantiene rispettoso, malgrado le opinioni da lui espresse siano decise e fondate su argomenti tratti dalla rigorosa osservazione del mondo intorno a sé, che comprende (eventualmente) anche qualcuno tra i suoi lettori (magari occasionali, e per errore nds). L’idea di fondo di una presa di consapevolezza umana e sociale che DFW porta avanti, prende forma con uno stile asciutto, curato e colto in grado di evidenziare la verità, anche la più scomoda, senza fare sconti, ma sempre, comunque, in modo piacevole ed è questa un altra forma di rispetto che Wallace riserva al lettore. Non perde mai di vista che chi legge prende in mano un libro per riflettere, sì, ma anche per svagarsi e divertirsi. Sotto questo profilo “Una cosa divertente che non farò mai più”, è un esempio più che riuscito della filosofia letteraria di Wallace.
La costruzione del testo prevede la particolare presenza di note a piè pagina, nelle quali Wallace dà il meglio di sé. Quasi che lo scrittore, nelle note senta meno gli obblighi di essere Autore, lasciandosi andare al suo pensiero nudo e crudo su quel che significa questo terribile business delle crociere, che ormai ha massificato il turismo, e di come il marketing riesca a manipolare le coscienze perfino quando si parla di riempire il tempo libero con un viaggio. Personalmente ho amato queste note, anche se c’è chi le ha giudicate “fastidiose” perché spezzano il ritmo della narrazione. Non credo di poter avallare questa opinione; mi sono divertita a trovare il modo per non perdere il concetto principale pur leggendo per intero le note. Se posso darvi un consiglio, a questo proposito: leggetele tutte di fila, abbandonatevi ad esse e poi tornate indietro là dove la nota era stata inserita; vi accorgerete che la narrazione ne gode e il racconto acquista una ricchezza che diversamente si sarebbe persa, per nulla spezzandone il ritmo, né disperdendone il significato. Chi conosce DFW sa che non avrebbe mai costruito una narrazione con un elemento di troppo col rischio di infastidire il lettore, allontanandolo dalla storia. Come ripeteva, “i grandi scrittori sono coloro che danno qualcosa al lettore, per questo dopo il contatto con un’opera d’arte, ne risulta più ricco”. Proprio ciò che accade con i suoi libri.
E così, è magistrale l’analisi delle aspettative create dal tour operator e il divario con la realtà vista al netto della manipolazione pubblicitaria:. “La compagnia Celebrity tenta proprio di presentare un annuncio pubblicitario in modo tale che ci avviciniamo ad esso stando in guardia il meno possibile e senza difese (…) un annuncio pubblicitario che fa finta di essere arte è come quando qualcuno vi sorride cordialmente solo perché vuole qualcosa da voi. Questo è già disonesto, ma il peggio è l’effetto finale che tale disonestà suscita in noi”. Wallace chiamerà questo sorriso “professionale”. Disarmante il modo in cui descrive le reazioni di chi sale su questi ”condomini” galleggianti in giro per il mondo, degli sprechi a bordo, della capacità inquinante, della massificazione di emozioni e bisogni in nome del guadagno e degli affari, questi sì, veramente, extra lusso.
L’incipit mette subito in chiaro le intenzioni dello scrittore incaricato di salire su una di queste grandi navi da crociera per realizzare un reportage, per la rivista Harper’s, di vivere la vacanza e raccontarla dal di dentro.
Come non solidarizzare (e sentirsi in colpa) con il suo caustico “ho visto un sacco di gente seminuda che avrei preferito non vedere seminuda. Mi sono sentito depresso come non mi sentivo dalla pubertà e ho riempito quasi tre taccuini per capire se era un Problema Mio o un Problema Loro”.
Lucido, chiaro fino allo stremo in ogni passaggio, in ogni descrizione, ogni singola pagina usata al massimo delle sue potenzialità, esilarante, non potrete fare a meno di ridere senza farvi sentire durante la lettura. Perciò il consiglio in più che posso darvi per questo libro è cercare di leggerlo il più possibile lontano da occhi critici e poco propensi al sense of humor oppure farlo, infischiandovene in modo ricco e convinto, così da godervi appieno un David Foster Wallace dei migliori. Senza dubbio, quest’ultima è la più indicata.
Alla fine, però non omettete di chiudere il libro e lasciarvi andare alle riflessioni che suscita. Il messaggio dello scrittore è diretto e tutt’altro che velato.
Il rischio, se non lo fate, è quello di rimanere nel gregge e tristemente globalizzati nel senso più deteriore del termine. Ma niente paura, se nel vostro passato c’è stata, o nel prossimo futuro ci sarà (già prenotata), una crociera extra lusso in qualche parte recondita del mondo dove ormai questi mastodontici apparati naviganti arrivano, con (giustificato) sdegno di quanti li detestano, a distruggere l’incanto e la speranza di verginità terrestre; perché, se tenete a mente ciò che vi ha raccontato Wallace, allora sì, che vi divertirete ricordandovi il vero significato delle “coccole” e dei “vizi” che avete profumatamente pagato e vi hanno promesso per contratto.
Non si può dire altro. Vi lancio solo un abbocco: il capitolo in cui lo scrittore descrive la mitica cabina 1009 e soprattutto il relativo bagno, e quello in cui vi renderà partecipi delle attività sulla nave. Mi saprete dire.
Io vi consiglio di dotarvi di un buon antirughe testato per le occasioni migliori perché lì sarete travolti dallo spasso.

Penso che basti questo a lasciarsi andare a David Foster Wallace e alla sua sfaccettata, eclettica, magnifica intelligenza e alla capacità di entrare in connessione con la società e con i suoi simili. Simili? Magari fossimo simili a lui.
PS. Quanto ci manchi DFW, immensa anima d’Uomo e illuminata penna di scrittore.
TITOLO: Una cosa divertente che non farò mai più AUTORE: David Foster Wallace; EDITORE: Minimum Fax; PAGG. 151; PREZZO: 12,75€ acquistabile su IBS
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