“L’illecito t’è in cuore e solo esso vale, ridi del naturale millenario pudore” (da L’Illecito, L’usignolo della Chiesa Cattolica).
Sono giorni pieni di vuoti. Due giorni, per chi ama la letteratura italiana e la poesia, che riportano la mente ad anni che non ci sono più e che, pieni di significato, ci hanno traghettato a oggi.
Ma “questo oggi” c’è chi lo aveva intuito con una forza dell’intelligenza prorompente e una sensibilità fuori dal comune.
Pier Paolo Pasolini desta in me, da sempre (e chi mi conosce lo sa), una stima irrefrenabile, un amore viscerale, potente. Sarà per quel volto scarno, quelle labbra a fessura, strette, contratte forse a non lasciare uscire tutto il suo acuto pensiero, a trattenerlo. I tratti marcati come solchi del volto scarno, spigoloso, angolato, largo, che in un gioco di contrasti sembrano respingere eppure accogliere e sicuramente stridono rispetto alla sua magnifica anima e presenza umana. Sembrano i segni delle cicatrici interiori.
O forse sarà per i suoi occhi. Profondi, scolpiti, grandi e neri come il suo Petrolio, vivaci, capaci di sguardi sagaci e penetranti; quel suo ormai mitico amore per Roma, la mia città, i miei luoghi quotidiani (manco a farlo apposta), che mi rendono impossibile non considerarlo romano di quelli veri, autentici.
Non so esattamente per cosa di tutto questo o per qualcos’altro che non metto a fuoco ma c’è, che Pasolini è tra gli artisti e intellettuali che non ho potuto vivere, per ragioni anagrafiche, quello per il quale mi rammarico di più.
La sua capacità di mettere per iscritto il mondo che vivo e che abbiamo vissuto anni e anni prima che accadesse, quelle indomite sete e fame di verità, quella sua autenticità, me lo rendono un mito incrollabile, uno dei miei scrittori preferiti.
Colori ed espressioni che recano con loro una vita, sentita, vissuta, sofferta, gioita, analizzata e protetta dalle persecuzioni becere, idiote, premeditate, mistificate.
Oggi gran parte dell’Italia si riempie la bocca del nome di quest’uomo e di questo intellettuale cui ha tolto tutto, e riconosciuto niente. Persino la memoria ne è costantemente violata, in un gioco di censure che oscillano tra il falso senso del pudore e il segreto di Stato. Considero il volto di Pasolini l’emblema delle vittime delle tante ipocrisie italiane. Il volto di chi ha combattuto contro le miserie umane di una nazione chiusa, non lungimirante, schiava di sé stessa e di un potere malato. Quanti oggi tra quelli che lo nominano senza aver neppure mai aperto un suo libro, che nominano film come Mamma Roma, pensando che si tratti di un soprannome a questa difficile città, quanti tra questi avrebbero difeso oggi Pasolini e quanti invece non si sarebbero seduti a vedere lo spettacolo dietro il solito, spesso muro di omertà, di indifferenza?
Mi fermo spesso a pensare, di lui come di altri scrittori scomparsi, conoscendo il pensiero che li ha animati nella loro opera: cosa avrebbe detto, denunciato e patito Pasolini di questo Mondo? Forse, è meglio non saperlo, o forse, le cose sono cambiate così poco in questo Paese o lui è stato così lungimirante, che in fondo mi accorgo che le ha già dette.
Un Paese che a distanza di 44 anni dalla sua morte ancora vergognosamente avvolta nel semi mistero e nel dubbio insinuante, non è capace di imparare dai suoi errori e ha paura di sé stesso, rivela quanto sia fermo. Immobile. Quanto la sua intelligenza era invece sempre in movimento anche su quel viso così mobile da essere quasi trasfigurato dalle ingiustizie riservate a sé e alla sua Arte.
Pier Paolo, quanti Pasolini ci sono stati dopo di te e quanti, ahimè, ancora ne verranno.
#pasolini #PPP
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