Avete presente quando una persona che avete appena conosciuto vi sembra molto più complessa di quello che sembra a prima vista?
È l’effetto che ha avuto su me questo libro. Una trama troppo semplice per esaurirsi solo in quello che racconta espressamente, e infatti nasconde tante chiavi di lettura.

Un bicchiere di rabbia di Raduan Nassar è un libro multi-affascinante. Nel senso che ha diversi motivi per cui può affascinare chi legge. Il lettore scafato rimane preso sicuramente dallo stile di scrittura. Sette capitoli, con un uso del tutto personale della punteggiatura. Anzi, forse è meglio dire, un NON-uso della punteggiatura. E se il lettore è davvero scafato non potrà non ricordarsi di esempi fulgidi come il Saramago di Cecità, o il nostrano, e sommo maestro di letteratura italiana, Carlo Emilio Gadda dell’eccellente Incendio di Via Keplero, in cui l’inesistenza del punto fino alla fine del paragrafo principale, che descrive l’incendio, permette al lettore di aumentare a dismisura la progressione della tensione.
Forse anche l’intenzione di Nassar è la stessa: far respirare al lettore il clima e assistere alla tensione massima della furiosa lite tra i due protagonisti anonimi, al suo crescendo di violenza e crudeltà, come se la stesse bevendo, appunto. Nassar offre al lettore il suo personale bicchiere di rabbia. Attraverso il rapporto di potere sociale che si cela sotto il rapporto tra i due, attraverso la violenza verbale e il narcisismo descritto dell’uomo,
– “ho i coglioni, stronza, non riconosco alcun potere!” – “Osanna! è arrivato il maschio! Narciso! sempre remoto e fragile, virgulto dell’anarchia…! ah, ah, ah…dogmatico, affettato e depravato…ah, ah, ah…”
il borghese prepotente e misogino, contro una donna consapevole e non prona.
– “ah, ah, ah…urlo e furore…ah, ah, ah…non sei altro che un sottoprodotto di oscure passioni (…) il timore che ti causo come donna che agisce…
Scatena l’inferno Nassar in questa coppia che si vede per un incontro galante nella tenuta di lui, il motivo è più che banale: le formiche scardinano la sua siepe, e lui si abbandona all’ira che lei non placa con un’atteggiamento da ancella, ma rinfocola, rintuzzando con battute e ironia che scatenano ancor più la furia dell’uomo. Nei dialoghi scarni e tesi lo scrittore dà il meglio:
– “avevo tredici anni. quando. persi. mio padre, in nessun momento ho portato il lutto, nemmeno allora provai alcun sentimento di abbandono (…), avrei dovuto riscattare la mia storia per rinunciare al mio stato di orfano”.
– “devo congratularmi con te per la prodezza” lei disse subito “solo tu riesci a essere allo stesso tempo orfano e brizzolato…ah, ah, ah…”
Ma pure il lettore meno scafato godrà di questo libro particolare, trovandolo affascinante anche per il fatto di possedere diversi primati: fu insieme libro di esordio e ritiro (perché l’autore si è ritirato in una fazenda a coltivare); perché con questo “colpo secco” di narrativa Nassar si è seduto nel consesso dei più grandi della letteratura brasiliana; perché ha saputo tradurre e concentrare in un amplesso passionale, dai tempi altamente erotici, tra un uomo e una donna e nella loro lite furiosa, la tragica situazione politica brasiliana dei ’70.
Perché ha saputo parlare di dominazione sessuale e sociale con la stessa violenza di un fendente di catana, centrando il bersaglio con una profondità e un coinvolgimento che, da lettori, si avverte come assoluto.
“credi forse che io sia in vena di picchiarti, stupida?” lei reagì come una favilla e fu metallica e fu tagliente la sua risata di scherno “frocio!” fu il morso affilato della sgualdrina, che con una sola dentata cercava di castrarmi come con una rasoiata, tradendosi con i grossi peli della sua ideologia, lei che strombettava la sua protesta contro la tortura era allo stesso tempo uno sfacciato boia del quotidiano, proprio come il popolo fatto a sua immagine, proprio come il governo repressivo che senza tregua combatteva”.
TITOLO: Un bicchiere di rabbia, AUTORE: Raduan Nassar, EDITORE: Edizioni Sur, pagg. 83, PREZZO: 10€
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