La pandemia ha congelato il mio stimolo a leggere, ha preso tutto anche la lettura. Il mondo chiuso, la morsa della paura, l’attesa; non si parlava d’altro, una coltre densa per inserire anche storie altrui. Nessun interesse per un libro che ne parlasse.
Zadie Smith, in primavera, arriva da me quasi un anno esatto dopo il cambiamento delle nostre vite, mi ha convinto perché è un libro in cui la pandemia c’è, ma rimane sullo sfondo, incidentale, come un termine di paragone o un incidente scatenante. Smith racconta altro.
Non ho mai fatto parte del team #andràtuttobene, no; ma nella mia salvifica positività credevo che fosse davvero un’occasione per cambiare in meglio, aprire gli occhi, correggerci. Non so se è stato così.
È stato interessante riconosce nel libro alcune di queste riflessioni e sentimenti. Smith è lucida, ruvida, cruda, realista, profonda, sincera.
Analizza quello che neppure la pandemia ha potuto surclassare: il razzismo rigurgitato dalla tragica morte di Floyd, gli strascichi del black live matters, le disuguaglianze sociali, le invincibili disparità create dal privilegio. Il crollo della speranza di cambiare in meglio cullata in tutti quei mesi così atipici.
Smith raccoglie riflessioni, episodi di vita vissuta e li trasforma in letteratura, dice in prefazione “Saggi personali: piccoli per definizione, brevi per necessità”.
È prima autobiografica, parte da sé, prova a decodificare le sue inquietudini, è autocritica, e poi critica; poi lo sguardo si fa collettivo, ribadisce la sua critica sociale, l’analisi politica. L’andirivieni continuo tra sé e noi, tra società e singolo è un dialogo costante che impegna durante la lettura, concisa ma densa.
Un j’accuse all’America, alle deviazioni della cultura del benessere a ogni costo e solo per alcuni; al perdurare del disprezzo, virus sottile e ancora presente nella cultura americana, considerato più potente, infettante della pandemia, pervasivo.
«Nessun Vietcong mi ha mai dato del negro» (Muhammad Ali). E quindi: la solidarietà.
«L’unica cosa che hai è la tua anima»(Tracy Chapman). E quindi: la libertà.
Un libro da leggere con cui si impara lo sguardo altrui.
Zadie Smith interpreta la pandemia come una cartina da tornasole che ha acuito, anziché smorzare, i problemi dell’umanità e dell’America in particolare; aldilà di ogni speranza, ciò che ha catturato il suo sguardo è stata la realtà, gli avvenimenti parlanti. Ne è scaturito un libro con una voce personale e asciutta, la caratteristica di Smith, che in uno spazio ristretto e denso di considerazioni apre a riflessioni profonde e a lungo termine che fanno interrogare sulla possibilità di redenzione dell’umanità, schiacciata in un sistema che dura ormai da decenni e che dobbiamo o no considerare ormai definitivo?
Tanti interrogativi e un pizzico di inquietudine derivano da questa lettura, che tuttavia merita di essere vissuta con attenzione e magari ripresa ogni tanto dallo scaffale per ricordarci come abbiamo saputo vivere il periodo più difficile, noi generazioni attive che non abbiamo vissuto la guerra, ma tante piccole o grandi battaglie come quella del razzismo che sembra avere una recrudescenza troppo importante per essere sottovalutata e non solo in America.
Bello. Veramente consigliato.
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