Matteo Bertone, scrive proprio bene. Dove ghiaccio attende non è il suo primo libro, e si percepisce da come maneggia i personaggi, i tempi.
Sulle orme del libro regalatogli da Giorgia, sua futura moglie, Guido inizia un viaggio in montagna con un itinerario scelto su una tovaglietta con i nomi stampati delle cime dei monti.
Un uomo in cerca di sé stesso, negli ultimi giorni della sua solitudine pre-matrimoniale.
In cerca di quiete, o cos’altro? E cosa troverà? La scoperta di alcune vecchie foto sbiadite e logore di tempo lo conducono lontano.
Lo sguardo di Bertone è quieto. La voce è pacata e riflette sulle cose mentre l’occhio le osserva, è misurata e porta nella storia tutto quello che serve e nulla più. Malgrado alcuni passaggi, sicuramente perfettibili, Matteo Bertone tiene le redini della struttura e riesce a comunicare tutto ciò che la storia deve dire.
Il libro è una intensa riflessione sul sé, il cammino verso sé stesso, ma anche verso gli altri. La salita che Bertone compie è un percorso introspettivo.
Sbaglio è bene per imparare. Montagna tutto insegna
Haruki
Ma Dove ghiaccio attende è un romanzo che affronta (anche) il tema della famiglia. Quella di origine come humus e quella che riusciamo a formarci da soli. Un confronto costante che Matteo Bertone sa interpretare bene. E poi c’è un segreto che aleggia su tutto. Un segreto, proprio familiare, che scuote la curiosità di Guido, ma che è da sempre patrimonio di sua sorella. Lei sa già. Solo Guido sembra sempre non sapere qualcosa. Su di sé, sugli altri, su cosa accade. Sui sentimenti propri e altrui, su cosa è meglio fare, cosa meglio dire o lasciare andare.
È un’anima in pena, diremmo a un’amica. Sulla soglia della consacrazione della vita di coppia qualcosa, come un fitto vapore montano, gli nasconde la verità su ciò che prova. È un uomo che cammina eppure è fermo; uno sguardo esterno gli farà capire proprio questa importante verità. È quello di Andrè, suo amico di sempre o di Haruki, la cui storia è narrata con la leggerezza di una foglia che plana sull’immaginazione del lettore? Che richiama e immerge nelle immagini letterarie tipicamente giapponesi e strizza l’occhio alle passioni narrative dell’autore. Haruki, che è compagno di salita e che porta la riflessione, l’approfondimento. Personaggio chiave nella storia di Guido, eppure così evanescente, da sembrare quasi la voce di un alter ego mai visto prima. È certo l’inizio di qualcosa di rivoluzionario per Guido.
C’è una bella sospensione nel romanzo, che per questo ogni tanto è evocativo. Bertone non è uno scrittore preso dall’ansia di spiegare al lettore, al quale si palesa nitida la sensazione che c’è qualcosa da aggiungere, leggendo.
Anche i personaggi Bertone li introduce sulla scena con gradualità, non affollano la posizione di Guido, non c’è confusione, né rischio di una coralità inopportuna. Ognuno ha un peso soave, ma significativo, funzionale a Guido. Giorgia, forse troppo. Forse in questo caso, rimane la voglia di conoscere di più di questa donna, così sfuggente, che sta sulla scena senza ingombrarla, ma forse anche questa è una concessione, voluta, al lettore; che immagini ciò che vuole, quello che conta è Guido.
Con passo lento da montanaro esperto quale è, e si capisce da come parla della montagna e del rapporto con chi la incontra, Bertone costruisce la storia da bravo scrittore, altrettanto esperto. Semina piccoli misteri, una sorpresa. La mantiene.
Padroneggia un’analessi fatta bene e abbastanza serrata, che sostiene il ritmo. La scrittura pacata non ferma il progredire della tensione che è omogenea, e ravviva l’attenzione. E’ capacità non da poco.
Uno sguardo lento, una voce misurata che riflette sulle cose mentre le osserva, che porta sulla pagina una storia con parsimonia, solo quello che serve e nulla di più. Anche nelle descrizioni più minuziose.
E’ un libro scorrevole, con una narrativa ben dosata e usata e che lascia più di un’interrogativo. Quella bella sensazione che lascia la letteratura, quando non spiega tutto, ma crea domande, interrogativi, un regalo al lettore. Questo pregio è proprio il motivo per cui leggere il libro.
Ho avuto alcune curiosità che ho chiesto all’autore e lui gentilmente mi ha risposto con una chiacchierata simpatica e che ha lasciato spazio anche a una nuova lettura del libro. Se v’interessa la trovate qui di seguito. Buona lettura!
Quattro chiacchiere con l’autore.
MPUL: Ciao Matteo, letta la tua ultima fatica, mi complimento con te, per il bel viaggio in cui porti il lettore. La storia è narrata in modo così vivido che ci si chiede quanto ci sia di fiction e quanto, se c’è, di autobiografico in questo libro? Sentendo parlare la voce narrante, e considerando la tua passione per la montagna questa domanda diventa quasi automatica.
MB: Esatto. Di autobiografico c’è proprio la passione per la montagna, il percorso di avvicinamento alla montagna di Guido è il mio stesso percorso, per il resto la storia è inventata. Ho accompagnato Guido a vedere quei luoghi che io conoscevo bene e poi l’ho lasciato libero di fare le sue scelte.
MUL: Quale significato dai nel tuo libro alla montagna e al rapporto con essa. Come catarsi, come luogo di introspezione e conoscenza di sé, come binomio inscindibile uomo/natura?
MB: La montagna ti consente di mettere ordine alla tua vita di tutti i giorni. Ti insegna un ritmo diverso, lento, ti fa apprezzare la fatica che consente di godere delle bellezze nascoste, ti spiega che sofferenza, dolore, fatica, persino la morte sono tutte componenti della vita. Ti aiuta a mettere delle distanze fisiche, che possono poi diventare distanze mentali da pensieri opprimenti anche quando ritorni alla tua vita. Ti mette di fronte a rocce che esistono da millenni, esisteranno dopo di te e non possono lasciarti indifferente
MPL: Il finale, credo volutamente sospeso, prelude alla possibilità di una parte ulteriore di questo racconto di vita?
MB: Il finale è sospeso perché mi piace che sia il lettore a decidere, a spiccare il volo e scegliere quello che sente più suo.
MPL: La tematica cui tieni di più, che hai voluto sicuramente trasferire al racconto, potrebbe essere inscritta in un romanzo di formazione? Il distacco con le proprie radici e quindi la “crescita” del personaggio che prende finalmente in mano la sua vita e decide di darle un senso che più si avvicina al suo modo di essere?
MB: La tematica, per me, è legata alla consapevolezza del protagonista rispetto ai cambiamenti della vita, che possono essere repentini e inaspettati, come un aumento delle temperature che scioglie il ghiaccio all’apparenza così resistente e duraturo, e all’importanza di adattarsi a qualsiasi cambiamento.
MPL: Si incontrano tanti personaggi durante la lettura. Ognuno “regala” qualcosa di sé al protagonista, quello più significativo e sicuramente Haruki, simbolico a partire dal nome; tuttavia la sua storia, compresa quella del suo taccuino rimane avvolta da una sospensione, non dico mistero, è voluto? E Haruki rappresenta un po’, per te, il tuo rapporto con la scrittura in qualche modo?
MB: È la prima volta che mi fanno una domanda sul taccuino di Haruki, potrebbe essere in qualche modo una metafora della mia scrittura, se lo è, è stato inconsapevole. Haruki è un personaggio importante, il suo nome è un omaggio allo scrittore, e ha davvero un ruolo di guida spirituale per il protagonista, ma a differenza delle solite guide spirituali che seguono un lungo percorso con il loro “allievo” qui si tratta di un incontro fugace, ed è un po’ quello che succede con le persone che incontri nei rifugi. Incontri di una sera o di mezza giornata che però possono insegnarti molto.
Non mi resta che salutarvi e dirvi #civediamotralerighe
TITOLO: Dove ghiaccio attende, AUTORE: Matteo Bertone, EDITORE: Altrevoci edizioni, PAGG: 256, PREZZO: 15,10€ su IBS
No Comments